Giorgio Mancuso – pressenza.com
Il convegno Uscire dal sistema di guerra e costruire una politica di pace si è tenuto sabato 30 settembre a partire dalle 15 presso la sala Poli del Centro studi Sereno Regis di Torino nell’ambito della quinta edizione del Festival della Nonviolenza.
Organizzato dal Coordinamento A.Gi.Te. con ACLI, ANPI, Casa Umanista, CGIL Torino, Co.Co.Pa., Centro studi Sereno Regis, Comunità di Sant’Egidio Torino, MIR-MN, Un ponte per, il convegno aveva l’impegnativo obiettivo di “esplorare idee e strade per riprendere un cammino di pace, dove la ricerca della collaborazione tra i popoli non sia disgiunta da quella della libertà e della giustizia per tutti, basandosi sul rispetto dei diritti umani che solo può avvenire se tacciono le armi”.
Le quattro ore di interventi e domande dal pubblico sono state utili per conoscere lo stato dell’arte della corsa al riarmo, approfondire alcune delle iniziative in atto ed avvicinarsi al mondo del pacifismo dei due paesi in conflitto, Federazione russa e Ucraina.
La situazione attuale della corsa agli armamenti
Gianni Alioti di The Weapon Watch, introdotto da Paolo Candelari (MIR-MN), cerca di dare una panoramica sulla corsa al riarmo in occidente e nel mondo.
The Weapon Watch nasce nel 2019 per dare supporto ai portuali che si sono rifiutati di gestire le armi destinate alla guerra in Yemen in transito nel porto di Genova, in aperta violazione con la legge italiana 185/90 che regola la vendita ed il transito delle armi in Italia; i porti rendono visibile il movimento di armi e quindi sono un punto di osservazione privilegiato sul loro commercio.
La guerra in Ucraina e le tensioni crescenti con la Cina hanno accelerato l’aumento delle spese militari, un processo che si era comunque già evidenziato prima dell’inizio del conflitto ucraino.
Il riarmo sembrerebbe una scelta razionale nell’attuale contesto internazionale, ma così non è: a dimostrare l’irrazionalità del processo di riarmo, l’aumento delle spese militari è stato sensibile anche nel 2020 quando, nel pieno della pandemia da Covid-19 e con l’economia in fase recessiva, sarebbe stato più saggio impiegare le risorse per il potenziamento del sistema sanitario.
Diversamente dagli interessi delle varie potenze mondiali e regionali, gli interessi del sistema militare industriale sono convergenti in tutto il mondo: all’inizio di marzo 2022, pochi giorni dopo l’inizio della guerra in Ucraina, tutti i produttori di armi si sono dati appuntamento alla fiera di settore in Arabia Saudita.
In un momento come questo l’unico atteggiamento razionale è quella di stare dalla parte delle popolazioni colpite dalla guerra ed anche dei giovani spinti a morire nelle trincee[1].
Proposte per costruire una politica di pace
La seconda sessione del convegno[2], dedicata alle proposte per costruire una politica di pace, ha visto l’intervento di Daniela Sironi (Comunità di Sant’Egidio) e di Sergio Bassoli (CGIL e Rete Pace e Disarmo) moderati da Nino Boeti (ANPI).
Daniela Sironi spiega l’approccio della Comunità di Sant’Egidio per la ricerca della pace, approccio che trova le sue radici nell’esperienza di pacificazione del Mozambico in cui la comunità ha avuto un ruolo fondamentale, sia nel processo che ha portato alla firma degli accordi di Roma del 4 ottobre 1992 sia nel mantenimento successivo della pace.
Occorre innanzitutto stare sempre dalla parte di chi la guerra la subisce perché i processi di pacificazione nascono dalla società civile; inoltre sono necessari tutti gli sforzi per tenere aperti i canali di comunicazione, perché la pace si fa con il nemico. Il processo di pacificazione cambia gli interlocutori durante il suo sviluppo: obiettivi che sembrano impossibili all’inizio del processo diventano raggiungibili nello sviluppo del dialogo.
La comunità di sant’Egidio considera fondamentale in questo processo il dialogo interreligioso e la pratica della preghiera per la pace e si impegna a creare spazi di dialogo come il recente incontro internazionale “L’Audacia della Pace” che si è tenuto a Berlino.
Sergio Bassoli ha ricordato come fin dall’inizio sia la CGIL che la Rete Pace e disarmo abbiano richiesto il cessate il fuoco immediato per salvare le vite e salvare il pianeta; una posizione ragionevole che comunque ha generato critiche anche molto dure ed accuse di filo-putinismo.
Tutti i paesi si stanno muovendo con iniziative diplomatiche per la risoluzione del conflitto ucraino ad eccezione dell’Europa che rimane connivente ai desideri degli Stati Uniti.
La guerra non è mai una soluzione, né lo è il riarmo; le guerre nel ventunesimo secolo tendono a non concludersi e questo succede perché il rischio di un escalation nucleare ha cambiato per sempre le regole dei conflitti armati: non ci può essere vittoria di una parte in presenza di armi di distruzione di massa.
Solo il comparto militare-industriale si avvantaggia dall’attuale situazione di conflitto armato e riarmo.
Il conflitto ha messo a nudo la crisi generale del sistema e le sue contraddizioni interne: all’interno dell’assemblea 2023 della Rete italiana Pace e Disarmo è stato elaborato un documento con le proposte per la società, l’economia, l’ambiente con l’obiettivo di superare e risolvere queste contraddizioni.
Secondo Bassoli la strada da perseguire da parte della società civile è quella di allargare le alleanze, costruire ponti, attivare iniziative come i corpi civili di pace o le carovane per la pace.
La manifestazione nazionale La via maestra del 7 ottobre a Roma rappresenta un buon esempio di questo tipo di processo: si tratta del tentativo di far convergere diverse istanze sociali e pacifiste in un’unica piattaforma che abbia la difesa dello spirito della costituzione italiana, fortemente pacifista, come stella polare ed elemento unificatore.
Le esperienze dei movimenti pacifisti nei paesi in conflitto
L’ultima sessione del convegno espone l’esperienza dei movimenti pacifisti nei luoghi di conflitto perché non si possono proporre processi di pace calati dall’alto senza includere in questi processi i protagonisti locali. Sono intervenuti Maria Alexandrova (Movimento degli obiettori di coscienza russi), Yurii Sheliazhenko (Movimento pacifista ucraino) e Michaela Sollinger (For Peace Presence Colombia) moderati da Zaira Zafarana (IFOR, MIR-MN).
Nel primo giro di interventi i relatori hanno presentato le loro organizzazioni
Maria Alexandrova indica i compiti istituzionali del movimento degli obiettori di coscienza russi che rappresenta: il movimento fornisce innanzitutto supporto legale e psicologico a chi non vuole partecipare al servizio militare. La costituzione russa non riconosce il diritto all’obiezione di coscienza, concede solo la possibilità di richiedere un servizio alternativo al servizio militare, richiesta che viene accolta solo in pochissimi casi, casi che sono diminuiti in concomitanza con l’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina; recentemente il movimento ha fornito supporto a militari professionisti che si rifiutano di partecipare a questa guerra specifica
Il movimento ha anche lanciato una campagna per la chiusura dei campi di reclusione dove vengono internati coloro che si rifiutano di obbedire agli ordini; al momento in Russia ci sono tredici di queste strutture, due sono state chiusi su pressione del movimento nel 2022; partecipa inoltre alle campagne internazionali a supporto dell’obiezione di coscienza come la campagna #ObjectWarCampaign.
Maria è convinta che un modo importante per fermare la guerra è aumentare il numero di obiettori e per questo il movimento lavora molto con le scuole e nei social per diffondere le tematiche relative all’obiezione di coscienza e la nonviolenza.
Yurii Sheliazhenko, intervenuto a distanza per l’impossibilità di lasciare Kiev[3], racconta che il Movimento pacifista ucraino è un piccolo gruppo di persone che cerca di agire in un ambiente fortemente militarizzato in cui a parlare di pace o di cessate il fuoco si rischia il processo.
Ciò nonostante, il movimento è impegnato nel supporto agli obiettori ed a livello internazionale partecipando a convegni e conferenze; il suo intervento alla conferenza per la pace di Vienna del giugno scorso gli è costato l’incriminazione per cui oggi è costretto agli arresti domiciliari.
In Ucraina il diritto all’obiezione di coscienza è stato sospeso e la Corte Suprema si è pronunciata a favore di questa misura.
Malgrado tutte queste difficoltà, gli sforzi per la pace continueranno anche in Ucraina.
Michaela Sollinger[4] si occupa dal 2011 di accompagnare, come rappresentante internazionale dell’IFOR, i difensori dei diritti umani colombiani della comunità di pace di San Josè de Apartadó, proteggendoli così da rappresaglie e uccisioni. L’intervento di accompagnatori internazionali è stato richiesto dalla comunità come forma di protezione nonviolenta a partire dal 2002.
In Colombia l’intervento internazionale è stato molto utile per difendere le comunità, soggette al fuoco incrociato dell’esercito, delle bande paramilitari e dei ribelli, in uno sforzo continuo per rafforzare la pace contro la violenza.
In questo delicato lavoro, l’ascolto degli attivisti locali è stato fondamentale nel definire le priorità e gli interventi.
I volontari internazionali hanno lavorato anche a supporto agli obiettori di coscienza e contro il fenomeno del reclutamento forzato di minorenni.
Il secondo giro di interventi è incentrato sulla ricerca di proposte concrete per costruire una politica di pace
Maria Alexandrova suggerisce di supportare economicamente le organizzazioni antimilitariste, di mantenere le connessioni internazionali e diffondere le informazioni, anche attraverso attività come questo convegno.
Inoltre, appoggiare le campagne internazionali e semplificare l’accesso in Unione Europea degli obiettori di coscienza russi, ucraini e bielorussi.
Secondo Yurii Sheliazhenko bisogna parlare con tiranni e dittatori nella speranza di convertire le loro coscienze alla nonviolenza.
Anche Yurii suggerisce di appoggiare le campagne internazionali come quella sull’obiezione di coscienza.
Utili anche le manifestazioni per la pace, i presidi davanti alle ambasciate russe ed ucraine.
La guerra in Ucraina e strutturale, ha bisogno quindi di una soluzione strutturale demilitarizzando i comparti della società a partire dall’economia tramite quella che non può che essere una rivoluzione nonviolenta.
Michaela Sollinger auspica che gli stati comincino ad occuparsi del benessere dei loro popoli, che dovrebbero essere soggetto della politica, non oggetto.
Se riuscissimo ad applicare i principi riportati nella dichiarazione universale dei diritti umani sarebbe già un grosso passo avanti; per questo occorre fare tutto il possibile per proteggere i difensori dei diritti umani.
Dal convegno sono uscite alcune utili linee guida per le attività pacifiste e nonviolente dei prossimi mesi; la complessità della situazione e la sua pericolosità richiede uno sforzo straordinario e molteplice perché è chiaro che nessuna delle idee suggerite dal convegno è risolutiva se presa singolarmente, ma inserite in un approccio complessivo e coordinato si può arrivare a risultati imprevedibili.
Un aspetto fondamentale è la fede nella possibilità di ottenere la pace e fermare la deriva violenta, fede che può avere le sue radici nella propria spiritualità od in una concezione evolutiva del processo umano.
[1] L’intero intervento di Gianni Alioti è disponibile qui oppure nella registrazione video a partire dal minuto 1:38
[2] La seconda sessione del convegno è disponibile nella registrazione video a partire dal minuto 45:30
[3] Per approfondimenti sulla vicenda personale di Yurii Sheliazhenko https://www.pressenza.com/it/tag/yurii-sheliazhenko/
[4] La partecipazione di Michaela Sollinger alla conferenza è motivata dall’interesse da parte degli organizzatori di avere un punto di vista non europocentrico ed avere indicazioni di risoluzione di conflitti sul campo.